sabato 25 febbraio 2012

Terra rossa


Giù da un monte. Le gambe volano. Forse non riuscirò a fermarmi.

Le vacanze sugli Appennini hanno questo di bello. Che se il cielo è azzurro non puoi resistere. Non ti basta vederli, così lineari e rocciosi poco. Ci vuoi entrare dentro.
E dentro, c'ero voluta entrare.

Sprovveduta, più che coraggiosa. E Peggy con me, a far avanti e indietro. Avevo osservato Peggy inseguire le ombre odorose del passato. Lasciate sugli alberi, strusciate sulla corteccia, abbandonate per terra. Chi era passato per quel sentiero doveva trovarsi ancora lì in qualche modo, e il naso di Peggy sembrava ricostruire una mappa dei suoi movimenti.

Acqua e necessario per il cane nello zaino, non avevo pensato molto per me. Peggy era saltata nel baule della macchina appena l'avevo aperto; sapeva che saremmo partite insieme, l'aveva capito appena aveva sentito il tintinnio del suo guinzaglio, e aveva cominciato a guaire e a fischiare e a sbadigliare di felicità.

Quella mattina toccavo terra, ed era come camminare sull'avventura. Il bosco, la montagna, con quel suo dover scegliere dove appoggiare il piede, mi costringeva a far attenzione ad ogni particolare.
Radici intrecciate, speroni di roccia e terra pestata, foglie sfinite dall'acqua, impastate di terra e ghiaia, a far da letto ai rami caduti e che cadranno.
La coda bianca di Peggy ruotava euforica e la luce verde filtrava tra le foglie oscurando il giorno alla vita del sottobosco. Che parlava al suo naso.
Avevamo camminato a passo svelto sui sentieri abbozzati fino alla radura che mi avevano descritto. Un pendio ripido, di erba dura. I grilli, colti di sorpresa, saltavano via all'ultimo momento dalla pista ormai invisibile.

Inizio la salita e Peggy si allontana.

Hanno detto che quelle rocce sembrano magiche. Voglio vederle e capire di cosa si tratta.
Senza voltare le spalle mai per non rovinarmi la sorpresa, con un po' di fiatone arrivo finalmente in cima alla radura che è anche la cima del monte.
Mi giro...
le rocce magiche sono proprio là.
Di fronte a me semicerchi concentrici, come tre abbozzi di anfiteatri di misure diverse. Assomigliano a rovine, coperte dall'erba.
Un misto di perplessità e ammirazione mi viene, in dubbio nello stabilire se quella sia opera della natura o di mano d'uomo. Mi guardo intorno.
Solo da questo punto si possono vedere, è proprio vero. Attorno non ci sono altre alture.
Nel silenzio arioso della montagna mi accorgo ora del vento.
Leggero ma deciso sfinisce i grassi ceppi d'erba. Gente di montagna, l'erba. Robusta e compatta, i piedi testardamente piantati a terra.

La più bella passeggiata della mia vita, la ricordo ora, quassù.
Con lui. Un'infanzia meravigliosa.

Ma i ricordi si possono rompere. E quando li hai rotti, puoi solo piangerli.

Peggy sta correndo dietro di me.
Sono una lepre. A perdifiato mi sono buttata in una corsa giù, per la radura, fino a dove arriverò.
Spero di non inciampare, davanti a me
le rocce magiche
e sotto, ghiaia, ceppi d'erba e terra rossa.

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