La serranda aveva gli occhietti illuminati dal sole. Doveva essere una giornata magnifica.
Gianni rimase qualche secondo sotto le coperte ad ammirare quello scolapasta di luce che gli metteva in corpo una carica più potente di qualsiasi caffè. Non resisteva al fascino di una bella giornata e anche quella mattina non si trattenne poi molto nel teporino del letto post dormita.
Era sereno. Sentiva il sorriso della vita e gli si riempiva l'anima di leggerezza.
O forse, era semplicemente un uomo leggero, chiaro, tutto lì.
Noi, lo si sapeva. Erano anni che ci metteva i piedi sopra.
La moka sgolò il suo caffè. Indispettita, fumava e brontolava sul fornello. Ma Gianni ormai era tranquillo e a niente sarebbero valsi i tentativi di un'impertinente barattolo di ferraglia beccuto e con il manico. Ormai la serranda aveva fatto gli occhietti.
Era leggero, sì. La colazione, il cibo in generale, era sostentamento. Apprezzava quando era buono, ma si faceva piacere tutto, o forse non gli dava importanza. Sarebbe stato capace di mangiare allo stesso modo un piatto di pasta come un mazzo di radici. La serranda aveva fatto gli occhietti.
Si vestì rapido, in tenuta da giardino. Jeans e una maglia anni novanta, scarponcini da trekking e guanti da lavoro. Corse giù dalle scale: lo aspettava il mattino. E la potatura.
Nel buio del garage andò a colpo sicuro e prese il necessario. Ma la porta era inchiavata e dovette appoggiare la sega e la trincia rami. Era tutto nero, solo una sottile linea di luce filtrava da sotto la bascula: girò la chiave, aprì la porta e un raggio ampio investì il garage. E la bicicletta di sua figlia.
La fissò per un attimo. Viola e rosa, col manubrio un po' arrotondato, come andava quella volta.
Ogni cosa era rimasta al suo posto anche se lei se n'era andata.
Come fa un ricordo quando attraversa all'improvviso la mente, respirò sentendo il suo respiro... e gli sembrò di non aver mai preso una boccata d'aria quella mattina. Anche se ormai la serranda aveva fatto gli occhietti e il passato aveva un posto per lui: dietro le spalle.
Si voltò, raccolse il materiale e uscì costretto a socchiudere gli occhi sotto quella luce abbagliante. Il calore lo inondò in un abbraccio.
Rapido, lo guardavamo arrampicarsi lassù tra i rami, come un gatto. Si appoggiava disinvolto, la testa fra le fronde e le braccia lavoravano per dare forma a quell'arte della potatura che aveva imparato da suo padre e che aveva affinato poi, aggiungendovi quel gusto estetico che non gli era mai mancato.
E forse, lassù tra i rami, sperava che i ricordi prendessero il volo.
Quando decise di scendere, saltò giù. Guardò i rami, soddisfatto, e noi. Si piegò e cominciò a raccoglierci, una ad una. Ci teneva tra le dita, e fece un mazzo di noi che eravamo vicine, e ci riunimmo con le altre. Nate solo in alcune zone del giardino, Gianni ci stringeva tutte tra le mani. I nostri cuori gialli pian piano divennero un solo cuore di polline e petali bianchi. Forse, per la prima volta, eravamo tutte.
Un mazzo di fiori, pensò, da regalare a quella giornata leggera, a lei, che gli aveva insegnato a sorridere quando la serranda faceva gli occhietti.
Allora iniziò a spargerci, a seminarci per il giardino, perché nascessimo laddove non eravamo mai nate.
Centinaia di margherite, come polvere sulla terra, ci gettò.
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