venerdì 16 marzo 2012

Nello scavo


Le punte delle scarpe erano impolverate. E lui, era pur sempre un inglese.
“Non si esce puliti ad attraversare uno scavo”: la moglie gliel’aveva ripetuto tante volte, scrollando violentemente fuori dalla finestra qualsiasi suo vestito.
Ma a lui piaceva camminare così, in giacca e cravatta, tra le montagne di terra smossa e gli operai immersi fino a mezzo busto nelle buche o in ginocchio sotto il sole.
Quella mattina li guardava con soddisfazione, ma anche con una nuova nostalgia.
Era solito andare così in giro, ben vestito tra le macerie: teoria e concretezza che si incontravano, l’una a ricordare all’altra la propria presenza.
Un po’ come lui, immerso da sempre nei libri di archeologia, a cui alternava visite nei luoghi più abbandonati delle città. Libri e realtà: macerie, resti e terra smossa.

E a Mary questo piaceva e non piaceva.
Quando si erano sposati lei l’aveva seguito dall’Inghilterra in quella terra calda e antica: avevano studiato insieme l’italiano prima di partire, e una volta lì si erano trovati a casa più che nella loro Avonmouth. Durante l’università, le innumerevoli visite archeologiche che Oliver le aveva fatto sorbire in Inghilterra l’avevano nauseata, e dei romani, Mary, non volle sentir parlare per anni.
Subito dopo il loro matrimonio, la presenza di libri e libroni, in casa, la fecero da padrone su mobili e soprammobili. Non avevano ancora un divano decente, ma le librerie sì: quelle ricoprivano ogni parete della casa.
Un giorno particolarmente allegro di quella loro giovanile vita matrimoniale, Mary aveva utilizzato alcuni suoi libri come mattoni da costruzione e quando Oliver era tornato, nel mezzo del salotto, aveva trovato i suoi libri impilati… a forma di divano.
Si erano fatti una grossa risata, una foto che chissà dov’era finita e per alcuni giorni avevano lasciato l’opera di Mary a rallegrare la stanza.

Quel divano di libri era per Oliver un ricordo sereno della loro vita, di quella moglie perduta troppo presto a cui aveva dedicato, forse, troppo poco tempo. Solo dopo se n’era accorto.
Gli anni erano trascorsi veloci, lui aveva iniziato a lavorare come archeologo per le soprintendenze italiane e pagina dopo pagina, incarico dopo incarico Oliver aveva presto iniziato a girare l’Italia intera. Ogni angolo di quel paese nascondeva immensi e innumerevoli tesori. E ben presto perse interesse per l’unico tesoro che l’aveva accompagnato dall’Inghilterra, dalla sua terra che non aveva mai amato perché così avara di reperti. Un tesoro la sua Mary, ogni giorno accanto a lui…
come aveva fatto a non accorgersene…

Passeggiando sotto un sole romano, antico eppure presente e vivo, Oliver tirò un respiro profondo. Avrebbe voluto che tutta l’aria dello scavo potesse entrargli nei polmoni. Voleva sentire gli odori perduti, che un cervello primordiale avrebbe distinto e che invece per lui, uomo sapiens sapiens ed evoluto, erano divenuti impercettibili.

Mary lo aveva lasciato fare. Lo aveva amato per quello che era. Aveva ben presto capito che da lui non avrebbe potuto ottenere tempo, attenzioni speciali, momenti di coppia unici e indipendenti dalla sua passione per l’archeologia.
E a lui non aveva sfiorato la mente il pensiero che Mary potesse non essere felice così. Si erano stabiliti nel più bel paese del mondo, dove il clima e il sole regalavano giorni felici ai loro cuori inglesi, abituati alla pioggia e alla nostalgia. Dove la vita trascorreva quieta, tra gente cordiale e dove ogni luogo aveva un tesoro nascosto, una chiesa antica da visitare e una storia da raccontare.
Oliver aveva perso la testa e davvero non immaginava. Non ci aveva mai pensato e purtroppo, Mary, questo lo aveva capito.
Ma non tentò mai di fare nulla. Non lo lasciò, non protestò mai, non gli disse nulla. Rimase al suo fianco, per dieci anni, senza dare l’impressione di essere insoddisfatta. Si comportò da perfetta moglie inglese: custodì la casa e si dedicò al giardinaggio, coltivando la delusione nel prato della loro dimora italiana.
Rose, rose, rose… il loro giardino divenne un roseto fitto e variegato, di colori e spine.

Le punte delle scarpe ispezionarono un piccolo ceppo d’erba, uno dei tanti sopravvissuti al movimento terra. Ci si fissò Oliver, voleva estirparlo con le mani nelle tasche, usando solo la punta della scarpa e il lato… e non veniva via… maledetto…
In quel momento gli tornò alla mente un’immagine: Mary che usava i guanti e la paletta da giardinaggio. Si accorse che l’aveva guardata mille volte estirpare le erbacce senza prestarci attenzione. Era sempre stato assorto nei suoi pensieri, seduto in veranda mentre Mary lavorava in giardino.

‘Tesoro, non ho mai saputo cosa avresti desiderato’
Si ostinò Oliver, su quel ceppo d’erba, con un fare ridicolo, quasi da bambino, e pretendendo di non usare le mani e di riuscire nell’impresa, continuò per un pezzo in quel gesto superfluo, gratuito, inutile.

Non gli aveva raccontato della malattia. Mary aveva vissuto il dolore nella solitudine della loro vita insieme, sorridendo e sopportando. Aveva voluto proteggerlo da quel dolore o aveva voluto punirlo? Perché non gliel’aveva detto? Avrebbero potuto fare qualcosa, cercare una cura.
Ma Mary non aveva passato un giorno in ospedale. Aveva continuato a vivere così, senza combattere. Solo il giardino e la casa, e i suoi pensieri di giovane moglie morta a trentasette anni compiuti.

Erano passati molti anni e Oliver si era ripreso presto in fondo. Aveva continuato a dedicarsi con maggior impegno di prima alle sue attività, tra scavi e conferenze, tra lezioni all’università e scritture di articoli.
Aveva amato la vita dello studioso, lui. Ma Mary?
Se lo chiedeva, quella mattina.
L’aveva amata, sì. Ma senza volerla capire e senza volerla scoprire.
L’unica città che non aveva conosciuto era stato il cuore della persona che gli era stata accanto per anni. Una città sepolta, e questa davvero per sempre, che nessun archeologo avrebbe potuto portare alla luce.

A un tratto un operaio lo salutò e Oliver smise di prendersela con il ceppo d’erba e alzò la testa.
Il sole era accecante: strinse gli occhi in una smorfia, fece un cenno con la mano. E per la prima volta si sentì ridicolo in giacca e cravatta dentro ad uno scavo.


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